21 set 2015

Muse - Drones [Recensione]

I Muse sono tornati con l'attesissimo album Drones e, come d'abitudine, hanno scatenato un pulviscolo di reazioni diverse tra i fan. 


L'attesa era alta, un po' perché The 2nd law risale al 2012, un po' perché dalle interviste che hanno preceduto l'uscita dell'album, Drones si preannunciava il pronipote di Origin of symmetry. Ma, come ben sapranno i fan più accaniti del trio del Devon, mai prendere per oro colato le dichiarazioni di Bellamy e compagni.
Prima dell'uscita sono stati estratti ben otto brani, considerando anche [Drill Sergeant] e [JFK], che hanno permesso ai fan di ascoltare in anteprima parte del disco; ciò ha però anche fatto sì che, avendo svelato quasi tutto l'album, non ci si potesse godere appieno Drones nella sua interezza.

Si tratta di un concept album che poggia su temi distopici, i preferiti del frontman Matthew Bellamy, che, a proposito dell'album dichiara: "Questo album analizza il viaggio di un essere umano, dalla sua perdita di speranza e dal senso di abbandono, al suo indottrinamento dal sistema per divenire un drone umano, fino all'eventuale defezione da parte dei loro oppressori".
Il disco segue quindi il racconto di una persona che, dopo aver perso la propria sicurezza, si rende manipolabile da alcune forze oscure per poi riprendere in mano la sua vita ribellandosi e ritrovando fiducia nell'amore e nell'umanità.

Dead inside, traccia d'apertura, ha fatto sobbalzare tutti - nessuno si immaginava un sound del genere - un misto tra rock ed elettronica dal sapore eighties. Qui inizia l'avventura del protagonista che, dopo una sventura amorosa con un drone umano, perde la sua identità e diventa manipolabile.
Il trauma subito in Dead inside, fa sì che il protagonista diventi a sua volta un drone umano, una macchina assassina in Psycho, brano che, per le sonorità, ricorda lontanamente Uprising. In Psycho viene citato Full Metal Jacket di Kubrick.
La quarta traccia è Mercy, singolone mieloso, la cui melodia rimbalza in loop nella testa dell'ascoltatore. A questo punto, il drone umano di Psycho si rende conto della sua condizione e chiede misericordia e salvezza.

Proseguendo nell'ascolto si giunge a Reapers, miglior brano del disco insieme a The Handler, che tra sonorità e testo, è pura essenza Muse. Il testo è una denuncia al governo americano che, per mano della CIA e dei droni sia umani che non, uccide senza rimorso e senza sporcarsi le mani.
L'outro ci riporta ai Muse più giovani e selvaggi dell'epoca di Hullabaloo.
Eccoci giunti alla settima traccia, The Handler, brano cupo, in cui il falsetto di Bellamy fa quasi commuovere per la sua perfezione. Il testo riprende il tema del controllo mentale, già ampiamente affrontato in MK Ultra. Siamo di fronte ad una svolta per il nostro protagonista che, a questo punto, non ha più paura e si ribella ai suoi oppressori. 

Defector è preceduta da [JFK], che contiene un frammento di un discorso di John Fitzgerald Kennedy del 1961. Si tratta di un brano esplosivo in cui il protagonista opera la svolta decisiva dichiarandosi un disertore, in quanto non è più sotto il controllo delle forze oscure. Non è schiavo della società e ha finalmente conquistato la propria libertà.
Revolt è un inno alla rivolta ed incita il protagonista a compiere definitivamente la sua liberazione.
Con Aftermath si giunge al lieto fine della vicenda. Qui il protagonista, dopo un periodo di depressione e difficoltà dovuto alla sua disavventura, trova qualcuno che lo conforta e che resterà al suo fianco per tutta la vita. 

Non soddisfatti del lieto fine, i Muse ridisegnano un finale alternativo, rappresentato da The Globalist, brano che Bellamy ha definito essere il sequel di Citizen erased. Si tratta di dieci minuti di puro godimento. L’intro presenta chiare reminiscenze morriconiane, lento e pacato all'inizio, il brano sfocia in un eccitante climax centrale, per poi riplacarsi in un finale quieto ma drammatico.
The Globalist parla del protagonista che, resosi conto che il mondo è incapace di amare, si trasforma in uno spietato dittatore che distrugge il pianeta con delle armi nucleari (il countdown durante il riff, si riferisce al lancio di armi nucleari). Nell’epilogo, il dittatore si rende conto della distruzione che ha causato e, affranto, dice "I just wanted, I just needed to be loved".

L’ultimo brano del disco è la title-track Drones, seguito interconnesso di The Globalist. Si tratta di una traccia acapella, riempita da vari livelli della voce di Matt. E’ il riarrangiamento di Sanctus and Benedictus, di Pierluigi da Palestrina (1562); Bellamy l’ha descritto come un lamento dedicato alle vittime dei droni.

Cosa ci aspettavamo da Drones
Dopo l’ampia sperimentazione degli ultimi lavori, ci aspettavamo un ritorno alle origini più sfrontato, uno schiaffo in faccia all’ascoltatore occasionale, un ritorno ai trip più crudi e visionari.
I Muse fanno di testa loro, cercando di accontentare tutti: il mercato radiofonico, il fan più esigente, loro stessi. 
E ci riescono, Drones si rivela ricco di spunti, virtuosismi ed emozioni degni di nota.

Da affezionatissima fan del trio del Devon, penso che Drones sia un buon ritorno su una scena musicale che i Muse continuano a cavalcare molto sapientemente.


Tracklist:

1. Dead Inside
2. [Drill Sergeant
3. Psycho
4. Mercy
5. Reapers
6. The Handler
7. [JFK]
8. Defector
9. Revolt
10. Aftermath
11. The Globalist
12. Drones

DVD bonus nell'edizione deluxe:

13. Psycho (Live at Glasgow Barrowland)
14. Dead Inside (Live at Brighton Dome)
15. The Handler (Soundcheck, Exeter Great Hall)
16. Reapers (Live at Exeter Great Hall)
17. Bonus Studio Footage

Elle

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